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autore
brano
 
Cicerone
Della divinazione, II, 28
 
originale
 
28 Ut ordiar ab haruspicina, quam ego rei publicae causa communisque religionis colendam censeo - sed soli sumus; licet verum exquirere sine invidia, mihi praesertim de plerisque dubitanti -, inspiciamus, si placet, exta primum. Persuaderi igitur cuiquam potest ea, quae significari dicuntur extis, cognita esse ab haruspicibus observatione diuturna? Quam diuturna ista fuit? Aut quam longinquo tempore observari potuit? Aut quo modo est contata inter ipsos, quae pars inimica, quae pars familiaris esset, quod fissum periculum, quod commodum aliquod ostenderet? An haec inter se haruspices Etrusci, Elii, Aegyptii, Poeni contulerunt? At id, praeterquam quod fieri non potuit, ne fingi quidem potest; alios enim alio more videmus exta interpretari, nec esse unam omnium disciplinam.
 
traduzione
 
28 Incominciamo dall'aruspic?na, che io ritengo si debba osservare per il bene dello Stato e della religione professata da tutti - ma qui siamo soli, e possiamo ricercare la verit? senza procurarci l'odio di alcuno, io specialmente che dubito riguardo alla maggior parte delle cose -. Esaminiamo, se sei d'accordo, innanzi tutto le viscere. ? dunque possibile convincere qualcuno che quei presagi, che, dicono, sono indicati dalle viscere, siano stati appresi dagli ar?spici con assidua osservazione? Quanto assidua ? stata codesta osservazione? Per quanto tempo la si ? potuta fare? O in che modo le singole osservazioni furono confrontate tra l'uno e l'altro ar?spice, per stabilire quale parte delle viscere fosse nemica, quale "familiare", quale fenditura denotasse un pericolo, quale un beneficio? Forse gli ar?spici etruschi, quelli di Elide, gli egizi, i cartaginesi confrontarono tra loro queste osservazioni? Ma una cosa simile, a parte il fatto che non ? potuta accadere, non si pu? nemmeno immaginare. Vediamo, infatti, che gli uni interpretano gli indizi delle viscere in un modo, gli altri in un altro: non esiste una dottrina comune a tutti.
 

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